L'atto di scegliere un font per un progetto è diffusissimo e quasi quotidiano; e tuttavia, non esiste una scienza esatta in proposito, non esistono dogmi e regole assolute, non esistono schemi di applicazione generali. La quantità e disponibilità di caratteri è enorme: se guardo nella mia libreria personale, arrivo a 8732 - ma ho ancora due cartelle zippate con 2000 font l’una da controllare. Orientarsi nel mondo del typo (in particolare parlo di stampa più che di web, dove la scelta è, per certi versi, facilitata) è dunque un vero mestieraccio.
Si tende a credere che la scelta di un font condizioni quasi esclusivamente il lettering di un logo, un head o un titolo; e che per bodycopy e testi descrittivi la scelta sia tutto sommato più facile: basta che sia leggibile, punto.
Ma i veri professionisti sono coloro che hanno raggiunto, a mio parere, una monolitica consapevolezza in merito: il font, se pure da una parte è mero veicolo di un contenuto, dall'altra è vero e proprio segno grafico portatore di valori e significati, e come tale va considerato, anche nel caso del bodycopy. Non più elemento subordinato, quindi, ma contestuale all'intero progetto, direttamente collegato alle scelte grafiche, cromatiche e fotografiche, al concept del lavoro, alle esigenze di comunicazione espresse nel brief.
Non ha senso perdersi in inutili disquisizioni sulla maggiore leggibilità del Verdana rispetto al Times, o della maggior classe del Garamond sull'Arial. L'asse di questa scelta va inequivocabilmente spostato e sovrapposto a quello concernente le scelte grafiche nella totalità del progetto.
Diventa quindi fondamentale, come per tutto il resto, tenere presente alcune considerazioni:
- il concept generale e, di riflesso, il registro di comunicazione più adatto al cliente: classico? moderno? d'impatto? elegante?
- il senso del testo e il tono in cui ne parla: confidenziale? tecnico? interrogativo? assertivo?
- il target finale: chi sarà il lettore del testo? un bambino di quinta elementare? un avvocato? un designer?
- il supporto di stampa: carta (e quale tipo: non tutte le carte reggono bene font piccoli e sottili, ad esempio)? web? grande formato?
Chi sceglie un font ha dunque, in definitiva, una tripla responsabilità.
La prima è nei confronti del lettore: non è corretto rendergli la lettura complicata, difficile, faticosa. Leggere un testo deve rivelarsi un'esperienza piacevole, non certo un esercizio di interpretazione.
La seconda responsabilità e nei confronti del contenuto: il testo va onorato come cuore della comunicazione. Il contenuto e il messaggio che veicola devono necessariamente venire prima del contenitore. Un buon font non migliorerà un pessimo testo; ma un cattivo font può davvero rendere sbagliata la lettura di un buon testo.
La terza responsabilità, infine, è nei confronti del font stesso che stiamo usando: i buoni font sono progettati con uno scopo che, quando possibile, va onorato. Non tutti i font sono creati per essere distorti, compressi, tirati, capovolti, rovinati: ci sono equilibri profondi tra le varie parti che vanno rispettati.
EDIT: grazie ad Anonimo (e a mia moglie che ha gironzolato in rete) scopro che font non deriva, come credevo, dall'inglese; bensì dal termine francese fonte, ovvero "fuso", in riferimento alle matrici in metallo fuso usate nell'antica tecnica di stampa.
Tuttavia, in merito al genere maschile o femminile del termine (se è più giusto, quindi, dire "il font" o "la font") discusso nei commenti, non mi muovo dalla mia posizione. Font deriva sì dal francese (dove è di genere femminile, fonte), ma è di fatto un termine inglese di genere neutro. In francese, infatti, si usa caractère oppure lo stesso fonte. In quanto di genere neutro, quindi, si applicano perfettamente tutte le considerazioni dei commenti ed è più corretto l'uso del maschile.
martedì 16 giugno 2009
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4 commenti:
Buon articolo.
Ma Font non è femminile?
Beh, in inglese font è neutro -come per tutti i soggetti privi di sesso specifico: per intenderci, regge it is e its.
In italiano, tuttavia, il genere neutro non c'è. Dal latino ereditiamo alcune parole (in latino il neutro c'era) che, un tempo neutre, oggi solitamente hanno entrambi i generi nelle distinzioni di numero (es: UN UOVO, singolare maschile; LE UOVA, plurale femminile).
Per questo, pur nell'ambiguità, per i "prestiti linguistici" neutri (in particolare quelli dall'inglese, che non vanno mai coniugati al plurale anche se li si intende tali) c'è di solito la tendenza a rendere il genere neutro con il maschile, il genere non marcato.
tutto corretto, a parte che, la parola Font deriva dal Francese.
Questa non la sapevo! :O
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