martedì 21 febbraio 2012

Signori, si chiude. Questo blog non verrà più aggiornato, ma non temete: dall'altra parte troverete gli stessi contenuti, la stessa voglia di scriverli e (promesso) una frequenza un po' più ravvicinata tra i post. Da oggi mi trovate qui, vi aspetto: www.onicedesign.it

lunedì 13 febbraio 2012

Nuovi arrivi

Sono un po' assente in questo ultimo periodo. Ma ci sono due grosse novità in ballo, cui darò ufficialità nei prossimi giorni.
La prima è mia figlia, Zelda, in arrivo tra una decina di giorni – come potrete immaginare, il solo pensiero che tra poco avrò tra le mani un frugoletto di tre chili con il mio DNA dentro, fa passare in secondo piano tutto il resto; la seconda novità è questo blog, che chiuderà nella sua versione attuale per lasciare spazio ad un sito interamente nuovo realizzato in Wordpress (e di cui vedete una piccola screenshot allegata).
Continuerò a scrivere, chiaro, ma di là. Quindi restate da queste parti (ancora per poco), che vi tengo aggiornati.

giovedì 9 febbraio 2012

La scala dell'Universo


Cary e Michael Huang l'hanno fatta grossa. O meglio, infinitamente grossa e infinitamente piccola. Nel loro Scale Of The Universe, hanno raccolto informazioni di ogni tipo su tutti gli elementi dell'universo, dal SuperCluster di Shapley alle particelle quantiche, passando per i pianeti, le stelle, le creature viventi e i batteri. E li hanno disposti in scala, indicando per ciascuno misure, proporzioni e curiosità di ogni tipo: una sorta di biblioteca (in Flash: peccato, avrei apprezzato di più l'Html5) scalabile dell'universo conosciuto.

Graficamente non è eccezionale, intendiamoci: ma l'idea e la struttura sono fantastiche. Muovetevi con la slide al piede per zoomare avanti e indietro, e cliccate sugli oggetti per leggere un po' di informazioni. Vediamo se mi conquisto un'altra citazione in Shutkra!

giovedì 2 febbraio 2012

Violenza sui font

IO: Allora, cosa ne pensa della proposta di marchio?
CLIENTE: Non mi convince molto quel font graziato. Possiamo provare con uno bastonato?

martedì 31 gennaio 2012

10 cose che non sapete di me

Non parlo spesso dei cazzi miei, se mi passate il francese. Ma per una volta raccolgo l'iniziativa di Luca e partecipo a questo gioco: scrivere almeno sette cose (nel mio caso ho arrotondato a dieci) che i lettori del proprio blog non sanno. Cose di cui, beninteso, magari non ve ne frega niente; ma, questo sì, sono divertenti da raccontare (per i niubbi: cliccando sull'immagine si vede ingrandita; oppure scaricatela sul vostro pc).


Il gioco non è finito: le regole prevedono di rimbalzare questa lista ad altri lettori. Quindi: Chiari, Claudio, Damiano, Davide, Dama Arwen, Angel-A (e chiunque altro voglia unirsi), quali sono le cose che i vostri lettori non sanno di voi?

lunedì 30 gennaio 2012

Incurabili

Potremmo definire il progetto Clipart Covers così: immaginate che un qualche morbo devastante colpisca la popolazione creativa, disintegrando d'un colpo gusto estetico, ingegno e buon senso dai cuori dei designer di tutto il mondo. Il risultato sarebbero copertine di dischi come queste, ricreate utilizzando esclusivamente le più raccapriccianti clipart a disposizione e, ovviamente, il Comic Sans (Autobahn dei Kraftwerk è dedicata a Cyberluke :D).

mercoledì 25 gennaio 2012

Hanvon Art Master III: quasi perfetta


Non ho mai scritto post promozionali, né recensioni di prodotti (ok, magari giusto un paio di volte ho parlato di Apple :D). Non che io sia assolutamente contro, intendiamoci, ma ho sempre cercato di tenere il taglio di questo blog su registri diversi. Tuttavia, quando sono tornato a casa qualche settimana fa e mi sono trovato tra le mani una tavoletta grafica nuova di pacca e gentilmente offerta da Hanvon, non ho potuto resistere.

La tavoletta provata è l'ultima arrivata, la Hanvon Art Master III Large. Quando dico Large, non scherzo: l'area attiva è di oltre 33x20 cm, che per uno abituato come me alla Wacom Bamboo (con l'area di lavoro pari a quella di un post-it) è come guidare una Ferrari. Nella confezione, oltre alla tavoletta, ci sono ben due penne (stessa punta ma impugnature diverse), il portapenne con 6 pennini di scorta, il cavo USB necessario per il collegamento e il software d'installazione (più una versione trial di Corel Paint Shop Pro che non tiro nemmeno fuori dalla custodia).
Il design è curato nei minimi dettagli: il peso è straordinariamente contenuto nonostante le dimensioni, elegantissimi i crocini bianchi a definire l'area attiva, ben studiati e precisi i pulsanti.

Altra figata: la tavoletta è ambidestra. Essendo mancino, non posso che applaudire l'idea di poter girare la tavoletta in un verso o nell'altro per garantire accesso ai pulsanti alla mano non impegnata con la penna, quale che sia. Il cavo USB, di conseguenza, si può inserire in una delle due prese disponibili agli estremi del lato corto, in modo da non avere il filo tra le mani. L'installazione è a prova di idiota: in un attimo ho la penna in mano e Photoshop aperto. Il pannello delle impostazioni (su software stand-alone, non lo troverete in Preferenze di Sistema) è scarno e non prevede moltissime funzioni… ma ne parliamo tra un paio di righe.

La differenza con una tavoletta grafica "qualunque" è immediatamente percettibile: i 2048 livelli di sensibilità, la qualità dei dettagli e il controllo assoluto su velocità e pressione danno la sensazione di tenere in mano un vero pennello e disegnare su un foglio di carta. Straordinario. Il comportamento con Illustrator è altrettanto piacevole, dando ottimi risultati anche con pressioni leggerissime. La sensibilità e la qualità generale, insomma, permettono di spingersi tranquillamente oltre i confini del graphic design per sperimentare il vero e proprio digital painting.

Ora veniamo alle noti dolenti. La meno grave riguarda le dimensioni: se avete una scrivania ridotta, gestire un'astronave del genere può rivelarsi complicato; soprattutto se, come me, con una mano impugnate la penna e l'altra è sulla tastiera per le shortcut (provate a farlo con 40 cm di tavoletta in mezzo...). Per muoversi con comodità in caso di spazi piccoli, insomma, la versione Large è probabilmente esagerata. Fortunatamente, esistono le versioni Medium (area attiva 23x15 cm) e Small (15x10 cm).

La seconda, invece, mi ha lasciato a bocca asciutta: nella confezione sono presente alcuni software interessanti (un interprete della scrittura manuale, un bloc notes, uno strumento lavagna, ecc), ma – incredibile! – tutti esclusivamente per Windows. Peggio ancora, su Mac non è possibile personalizzare né le funzioni del Touch Ring (che di default scorre la pagina su e giù, ma in ambiente Microsoft può anche zoomare e cambiare pennello), né quelle dei pulsanti delle penne – ad esempio, per invertire le funzioni destro-sinistro o disattivarle per evitare fastidiosi clic inattesi. Insomma: se Hanvon vuole puntare sui professionisti di grafica e arte digitale (e dal punto di vista di design e tecnologia le carte le hanno tutte), forse conviene rivedere un po' le compatibilità di sistema.

I prezzi sono interessanti, soprattutto considerata la qualità del prodotto: la Art Master III Large costa solo 299,00 euro; la Medium 219,00 euro e la Small 159,00 euro. Peccato solo che, nonostante il prodotto sia ottimo, le piene funzionalità si possano gustare solo in ambiente Microsoft – e si sa, per uno come me non è cosa da poco. Per saperne di più, fate un giro qui (c'è una promozione attiva fino all'8 Febbraio, quindi datevi una mossa).

venerdì 20 gennaio 2012

Guerre spaziali

Da buon geek amo Star Wars ma, evidentemente, non sono l'unico.

In Volkswagen hanno una vera e propria passione per Jedi e nani verdi; i detrattori sostengono persino che sia Darth Vader in persona a guidare l'azienda. Dopo lo straordinario spot del bambino vestito da Lord Vader che cerca di accendere la macchina con i poteri Sith (trasmesso al Super Bowl 2011 e diventato un vero video virale), ora è il turno dei nostri amici a quattro zampe: undici cani più uno, travestiti da personaggi di Star Wars, intonano la Marcia Imperiale. Spaziale, anche considerato che ha raggiunto poco meno di tre milioni di clic in quattro giorni.






Tra le aziende che sfruttano con successo il brand Star Wars, non si può certo non citare Lego. Grazie ai micro personaggi della fabbrica danese, un po' di pazienza ed una buona dose di creatività, il fotografo Mike Stimpson si è guadagnato una certa fama. La sua arma segreta? Interpretare momenti della vita quotidiana dei personaggi di Star Wars (e non dimenticate di sbirciare nella sua galleria di foto famose rifatte con i Lego). Fantastico.

mercoledì 18 gennaio 2012

Comunicazione onesta

Pensate ad un mondo di gente davvero sincera. Un mondo dove un brand sia talmente trasparente da vendere solo i valori che gli appartengono; non un desiderio, un bisogno imposto, un sogno, un'aspirazione. Forse Windows direbbe davvero: "Per un po' funziono".
(Grazie Alessandro per la dritta)

martedì 17 gennaio 2012

Anarchy in Switzerland

Il designer Mike Joyce di Stereotype (NYC) dev'essere un tipo strano: adora la scuola svizzera (e quindi Helvetica, le gabbie, le trasparenze, l'ordine) ma ascolta punk rock. E nel progetto Swissted ha unito le sue passioni, rivisitando in chiave modernista i più famosi poster dei concerti alternative rock, sludge, punk e grunge – graficamente legati ad una certa cultura underground, ai font grunge, le immagini forti, la stampa in bianco e nero. Il risultato è un contrasto curioso, per chi conosce entrambi i generi. Buon viaggio!

giovedì 12 gennaio 2012

Creatività, brutto mestiere

Claudia Neri di Teikna Design aggiunge il suo contributo (dopo quelli di Accattino e Hastie) alla discussione sulla creatività in Italia. Non fatevi ingannare dall'apparenza: tra le righe del noto ritornello "in Italia fa tutto schifo, andiamo all'estero", Claudia sottolinea alcuni aspetti fondamentali del nostro mestiere.

Primo fra tutti, l'ignoranza dei clienti italiani per ciò che riguarda il design, la creatività, il nostro mestiere. Proprio l'Italia, che ha dato i natali a straordinari designer del passato e del presente, che ha fatto del design "Made in Italy" una marca apprezzata e amata all'estero, è in realtà vittima di un sostanziale paradosso.
Da una parte, l'Italia è nota per il gusto estetico e l'amore per il bello (l'arte, la moda). Dall'altra, sono pochissimi i clienti italiani pronti ad investire in qualità, innovazione e risultati in termini di design.

Combattiamo una guerra tra poveri, dove l'ignoranza di tutti gli aspetti tecnici e concettuali propri del designer genera una naturale diffidenza nei nostri confronti: se non siamo famosi, allora vendiamo aria fritta. Dove il designer, che costruisce identità, brand vision, linee guida per la marca, è visto più come uno "che fa i siti", o che al massimo "fa la pubblicità". C'è confusione: chi fa cosa? E cosa è importante per la mia azienda?

Manca una leadership – culturale e professionale – che guidi il Paese verso un design intelligente, strutturato, importante e riconosciuto. Mancano i clienti coraggiosi e consapevoli, pronti ad investire davvero. Il risultato è che spesso gli stessi designer si adeguano alle prospettive al ribasso, banalizzando la propria offerta sia in termini economici che, soprattutto, di qualità: in un circolo vizioso che è destinato, purtroppo, solo a peggiorare.

(Grazie Chiari!)

mercoledì 11 gennaio 2012

Caratteri eterni

Dall'invenzione della stampa tipografica fino all'avvento del desktop publishing, progettare e costruire caratteri era un mestiere. Anzi, più di un mestiere: un'arte. Nei secoli, straordinari designer hanno tracciato la storia della stampa, contribuendo a creare caratteri (molti dei quali in uso ancora oggi) e a tradurre, in un certo senso, i sentimenti artistici, politici e sociali delle rispettive epoche in aste, ascendenti e discendenti. I nomi li conosciamo: Jenson, Garamond, Bodoni, Didot, Baskerville, Clarendon, Novarese. All'epoca, la vita di un carattere era relativamente breve: cambiavano le epoche, certo, ma con esse anche la tecnologia; inoltre, si deterioravano i materiali con cui i caratteri erano costruiti – contribuendo di fatto a dotare i caratteri di una sorta di ciclo naturale, di vita e di morte.

Negli ultimi venticinque anni, tuttavia, c'è stata una tripla rivoluzione: sono cambiate radicalmente le tecnologie di progettazione (il desktop publishing), conservazione (i font digitali) e di diffusione (la Rete) dei caratteri, contribuendo all'esplosione del settore. I pochi, affermati designer del tempo sono diventati migliaia; e i font disponibili sono passati da qualche centinaio ad oltre 150.000 tra vecchi, nuovi, ridigitalizzazioni e nuove edizioni. Caratteri costruiti talvolta con set incompleti o parziali, ma con una stessa caratteristica – straordinaria per certi versi, ma anche altrettanto preoccupante: la vita eterna.

Un esempio? Il Minion (chi usa i software Adobe sa perfettamente di cosa sto parlando). Disegnato da Robert Slimbach nel 1990, compie oggi più di 21 anni. Un'eternità, dal punto di vista artistico. Quanto durerà ancora? Finché esisterà Adobe, probabilmente, il Minion continuerà a diffondersi e, di conseguenza, a essere utilizzato. Potrebbe avere davanti altri 20, 30 o 50 anni di vita. Non c'è niente di male, intendiamoci: a conti fatti, il Minion è anche un bel font. Lo stesso ragionamento si applica facilmente a Garamond (l'originale è del 1500, la versione digitale di fine anni '80), Helvetica (1957), Arial (legato alla diffusione di Windows dal lontano 1992) e mille altri caratteri ben noti ai designer.

Ma finché manteniamo e diffondiamo gli stessi font in eterno, che spazio possiamo fornire ai caratteri di domani? Finché i designer, per comodità, abitudine, disponibilità, continueranno a scegliere Minion (o Garamond, Helvetica, Arial o – dio ce ne scampi – Comic Sans), come distingueremo il futuro della tipografia dal suo passato? Come distingueremo un carattere nuovo, ben fatto, intelligente e versatile da uno vecchio altrettanto ben fatto ma, questo è il punto, passato? Come contribuiremo all'avanzamento della tipografia moderna verso la meritata evoluzione, aiutando i Jenson e i Bodoni di domani ad emergere e tracciare nuove strade?

Una risposta c'è: evitiamo i classici del passato. Acquistiamo nuovi font di designer viventi, contribuendo col denaro al loro sforzo. Informiamoci, cerchiamo, scopriamo nuovi talenti e nuovi caratteri. Usiamo e convinciamo ad usare font del presente. Affrontiamo la sfida di provare nuove strade. Tra gli oltre 150.000 font presenti sul mercato oggi, si nascondo gemme straordinarie che aspettano di essere scoperte e meritano di essere comprate, usate, diffuse con la stessa energia con cui vengono usati e diffusi i font del passato.

giovedì 5 gennaio 2012

Scatta e stampa


Incredibile come soluzioni di design di ormai mezzo secolo fa possano rivelarsi estremamente contemporanee ancora oggi. È il caso del branding di Polaroid, interamente progettato a fine anni '50 da Paul Giambarba che commenta così sul suo blog: "Tutto è stato fatto da una sola persona: io. Nessuna richiesta di cambiamento da parte del cliente e nessun focus group. Quelli sì che erano giorni".

Le fasce di colore – orizzontali, quadrate o in scala di grigi a seconda del modello, abbinate ad un carattere sans pulitissimo (è il News Gothic di Morris Fuller Benton) hanno di fatto costruito un brand intelligentissimo, che ha anticipato di diversi anni –tanto per dirne uno– la mela arcobaleno di Apple.

Un altro aspetto incredibile, a pensarci bene, è la fine di Polaroid: schiacciata dall'allora gigante gialla Kodak –oggi sull'orlo del fallimento a sua volta– e soffocata quasi definitivamente dall'avvento delle camere digitali (nonostante il ritorno della tecnologia vintage in alcune fotocamere Fuji e Lomography), Polaroid si è trovata costretta a dichiarare bancarotta nel 2001, col dispiacere di numerosissimi affezionati.

martedì 6 dicembre 2011

Pubblicità = Fiction?

Manuele Perini, sul sempre ottimo Tiragraffi, cita Pasquale Barbella in una fredda critica allo stato attuale della pubblicità italiana; talmente violenta da definire le comunicazione del Belpaese "modesta, millantatrice, cinica, esagerata, ipocrita e conformista".

Barbella dice: "La pubblicità italiana sembra indossare dei paraocchi che le impediscono di avere una visione più larga del sudario che l’avvolge. Vede solo sé stessa e riproduce all’infinito i tre o quattro cliché che le sono noti: didascalismo (quante parole inutili nelle voci fuori campo degli spot!); mitodipendenza (quanti testimonial, noti, seminoti e sconosciuti!); trucchi da venditore porta a porta (signora, compri questo aspirapolvere e la sua vita cambierà); fighismo a tutti i costi (ricordo la signora chic che durante un party all’aperto s’inginocchiava sul prato per leccare una goccia d’aceto); surrealismo farsesco (dal paradiso di Bonolis alle smorfie di Christian De Sica); imitazioni delle pubblicità estere più famose; etc. etc.

La comunicazione commerciale italiana è completamente slegata dalla realtà che la circonda. Mai vista una badante, neanche di striscio. Mai visto un disoccupato o un precario. Mai un accenno, neanche velatissimo, alla crisi economica o ad altri problemi collettivi. Gli italiani che si vedono negli spot sono sempre felici. Fanno colazione nei giardini delle loro ville, sorridono senza motivo e sognano mulini bianchi. Esprimono il meglio (?) di sé stessi mangiando, bevendo e guidando. Quando arrivano a cinquant’anni, si pisciano addosso in ascensore ma sono più felici di prima, perché hanno trovato l’assorbente giusto. A settant’anni ridono felici e contenti perché hanno perso i denti ma la dentiera è okay.’

Si può fare comunicazione migliore solo se si ha il senso della storia, della contemporaneità, del futuro. Solo se si parla con le persone e si parla alle persone."

Sono le due facce della medaglia della pubblicità italiana: da una parte il realismo e la concretezza delle pubblicità dimostrative, del ricorso ai testimonial, dei trucchi da venditore, delle gag; dall’altra lo spettacolo delle esagerazioni, delle iperboli, delle rappresentazioni sociali fittizie, delle rime e dei neologismi.


L'italiano sembra dunque chiedere alla pubblicità ciò che chiede alle fiction: finzione all'ennesima potenza, il racconto di un mondo che non esiste davvero e che, anzi, forse lo aiuta a distogliere gli occhi dal mondo reale. Non credo che si auspichi il ritorno ad una comunicazione strettamente sociale, etica o di propaganda: ma quanto la comunicazione italiana oggi sia in effetti lontana dai fasti degli anni '60 e '70, dall'ironia e la stravaganza di campagne che hanno fatto la storia, è un dato di fatto.

Ci vorrebbe più coraggio di osare, oltre che – forse – più capacità per farlo: coraggio dei creativi, ma soprattutto coraggio dei clienti, troppo legati alla logica del prodotto (che trova perfetto riscontro nelle pubblicità didascaliche) e spesso privi di immaginazione. Forse la crisi del nostro tempo non è più soltanto economica: è una crisi culturale vera e propria, e la capacità di reinterpretare la realtà con spirito creativo e visionario è la sua prima vittima.

venerdì 2 dicembre 2011

Il cielo da oggi sarà più Cyan


Non sono bravo negli addii alle persone che conosco bene, figuriamoci a quelle che conosco poco. Ma ho avuto l'onore di incontrare e chiacchierare con Giuseppe Musmeci (fondatore e cuore pulsante di Fontegrafica, tra le prime tipografie in Europa per qualità e innovazione) e ricordo un uomo appassionato del suo lavoro, con una profonda competenza unita ad un'ancor più profonda umanità. Un uomo d'altri tempi, se vogliamo, ma che ha saputo trasformare un mestiere per certi versi antico in una continua sfida al futuro: cosa rara per un imprenditore vecchio stampo. La sua scomparsa, per quanto poco io l'abbia conosciuto, è un dispiacere. Tutti in piedi, grazie.