Leggo sempre con ingordigia Wired, in edicola dallo scorso gennaio. Consiglio a tutti di comprare almeno un numero e dargli un'occhiata: al di là dei contenuti (che io ritengo di altissimo interesse: digital life, tecnologia, personaggi, idee, novità dal mondo, futuro, ecologia), è realizzata benissimo e stampata di gran classe, non disdegnando nemmeno nobilitazioni che la carta stampata, di solito, lascia da parte.
Sull'ultimo numero del mensile viene pubblicato un interessantissimo rapporto di IRPPS-CNR sullo stato della cultura dell'innovazione in Italia: ne discuterò nei prossimi giorni, ma se qualcuno vuole buttarsi avanti si può scaricare qui in formato pdf.
A cappello del rapporto, c'è un lucidissimo intervento di Luca Sofri. Ora, io e Luca Sofri non è che si vada sempre d'accordo: condivido saltuariamente ciò che dice, apprezzo appena di più come lo dice. Ma stavolta ha scritto un pezzo davvero analitico della situazione italiana in merito a Internet e, in particolar modo, al fenomeno Facebook. L'articolo completo lo trovate qui. Mi permetto di pubblicare alcuni passaggi salienti.
Il mondo salvato dai nativi digitali di Luca Sofri.
Le persone non più giovani che si accingono a voler capire com’è il mondo delle generazioni native [di Internet] devono innanzitutto liberarsi della solida sensazione di essere i protagonisti del nostro mondo e del nostro tempo: inutile illudersi, non lo sono più. E devono liberarsi dall’inclinazione “entomologica” nei confronti dei fenomeni che riguardano i loro figli (o nipoti): noi non siamo scienziati che studiano gli insetti, siamo insetti che studiano gli scienziati, per quanto insetti curiosi e colti, colti di un’altra vecchia cultura. E non ci è facile pensare agli adolescenti e ai ventenni come al mondo che è già: lo consideriamo il mondo che sarà, appena ci toglieremo di torno noialtri. Ma il mondo ci ha già tolto di torno.
Noialtri non nativi apparteniamo a due distinte categorie (trascuro quelli che con internet non hanno ancora avuto mai a che fare, vuoi per sfortuna geografica e sociale, vuoi per età, vuoi per rarissima ostinazione). Ci sono da una parte quelli che vengono chiamati “coloni”, o “immigrati”, o “ibridi”. È una categoria umana ridotta, per ragioni anagrafiche, ma centrale nella costruzione della conoscenza, della cultura e delle elaborazioni relative alla rete: perché ne ha seguito nascita e crescita avendo già gli strumenti per capirla e discuterla, e il metro per tenerla in relazione con il mondo “di prima”. Ne sono stati protagonisti negli scorsi anni, ma ormai la loro presenza si sta ridimensionando mentre avanzano e si allargano i nativi.
Ma c’è un’altra avanzata che ha riversato in rete una popolazione nuova in questi ultimissimi tempi. La chiamerei quella dei tardivi di internet. Sono coloro che hanno cominciato a occupare e a occuparsi di internet solo da poco, di fatto, e soprattutto grazie alla nuova accessibilità e familiarità di alcuni suoi luoghi e prodotti.
Per anni una piccola comunità di esploratori ha provato, spesso riuscendoci, a inventarsi cose nuove che si potessero fare con la rete, e ha costruito un mondo, anche se era un mondo frequentato da pochi. Altri provavano a trapiantare in rete attività e servizi più tradizionali, ma i clienti più tradizionali non erano ancora arrivati. I lettori dei giornali leggevano ancora i giornali, non i giornali online. Poi però hanno cominciato ad arrivare, ad avvicinarsi, ad affacciarsi guardinghi.
E a un certo punto hanno trovato Facebook. E sono entrati.
Una consolante rivelazione, per i tardivi digitali. È un luogo della rete del tutto familiare, quasi da film di Pupi Avati: ci si scambiano le fotografie, si ritrovano i vecchi compagni di scuola (si fa molto altro, ma su questi due servizi si è basato il grosso della comunicazione propria del social network). Chi accede alla rete da Facebook non ha bisogno di conoscere i meccanismi con cui la rete funziona o di essere appassionato dell’informazione e delle cose del mondo. Ci trova quelle cose che lo interessano e che conosce. Internet si “normalizza”. Viene ricolonizzata dal mondo di prima. I suoi nuovi abitanti, meno coraggiosi e attrezzati, vi ricostruiscono i modelli familiari. Il successo di Facebook è un successo di funzioni semplici e tradizionali: relazioni con vecchi compagni di scuola, album di ricordi, piccole conversazioni, campagne per i cani abbandonati, promozioni editoriali.
L’espansione di Facebook dentro la rete è stata molto dibattuta in questi mesi: Facebook si allarga e i suoi meccanismi semplificati sottraggono spazio ai servizi e ai siti più ricchi e promettenti.
E molte persone che per la prima volta accedono a Facebook attratte da questa semplificazione sono vittime di una sbornia adolescenziale. Si apre loro un mondo, e lo capiscono. Accumulano amici, reinventano le proprie relazioni e il loro tempo libero, scambiano Facebook per l’universo, e la grande rivoluzione tecnologica di questi decenni gli è improvvisamente chiara nella sua generosità: era Facebook. Questa sopravvalutazione ha un limite, come dicevo: impedire che questo primo e facile accesso alla rete preluda a nuove scoperte e nuove opportunità. Per alcuni di loro, questa ritardata emozionante scoperta si traduce rapidamente in elaborazioni, considerazioni, idee, e persino progetti imprenditoriali in ritardo di anni su quanto la rete ha già discusso e analizzato e creato prima. Ma questo potrebbe non significare niente, perché ormai una cospicua parte degli interlocutori o degli utenti di queste idee è a sua volta tardiva, soprattutto in Italia. E così come la televisione italiana non può che produrre contenuti anacronistici e arretrati dipendenti dal suo tipo di pubblico, anche la rete potrebbe rischiare di essere trascinata indietro da ragioni di mercato nuove. Miss Italia su internet potrebbe diventare un grande successo nel 2011. Magari persino il Festival di Sanremo, o l’edizione online di Micromega.
Oppure no. Oppure ci salveranno i nativi. Anzi salveranno se stessi. La rete è l’ultimo luogo che ci rimane per tenere le redini del futuro, in un paese così per vecchi da essere diventato un cliché. Ed è un luogo in cui molti si rammaricano non si trovino dei modelli di business adeguati a sfruttare iniziative anche di grande successo di visite e utenti. E proprio questo potrebbe essere un’opportunità per scongiurarle il melmoso destino in cui si dimena il resto del paese. L’Italia salvata dai nativi digitali.
martedì 9 giugno 2009
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