Col passare degli anni, mi sono accorto dell'esistenza di due macrocategorie di grafici.
Gli Artisti Creativi non hanno alcun cliente se non loro stessi. Colori, volumi, caratteri, tutto è ripiegato su se stesso: e lo scopo è introdurre novità nel mondo, esplorare territori inesplorati, superare confini, stupire, indicare una via: alla pari di pittori, scultori, videoartisti e quant'altro.
I Grafici Creativi, al contrario, lavorano con opportuni equilibri tra forme e contenuti, head e body efficaci, piegando fotografia, vettori e idee al servizio del cliente. Scopo: vendere ciò che si promuove. Difficoltà: tra l'autore e la sua -concedetemelo- opera, c'è di mezzo un cliente, che se va male ha tipo le ragnatele nel cervello.
I primi creano per vendere il creato stesso, i secondi creano per vendere qualcos'altro. Il che, se permettete, crea una sorta di slittamento di significato per le creazioni di quest'ultimi, assunto che "vendere" possa essere un significato.
Il senso del proprio creato non è più interno all'opera stessa, ma esterno: l'opera non è più soggetto dell'arte, ma veicolo, medium, contenitore per un soggetto che è altro dall'opera e spesso persino altro dal bello; soggetto che spesso contamina, vincola, sporca il processo creativo portando a risultati che, nel bene e nel male, sono di fatto compromessi tra l'idea dell'artista, il mercato e le esigenze del cliente.
Ho quindi l'impressione, e vi invito a smentirmi, che il senso di liberazione catartica tipica della produzione creativa sarebbe estremamente più soddisfacente senza un cliente di mezzo.
Ma d'altronde, non di sola catarsi vive l'uomo.
lunedì 31 marzo 2008
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