Il grafico di ieri sognava la targhetta in finto bronzo fuori dalla porta e il segnaposto sulla propria scrivania a decretare la sua creatività. Ore passate a correggere negativi, ad aspettare che Photoshop 1.0 ruotasse di novanta gradi un'immagine, a controllare pellicole e fare mock-up con carta e forbici, ore passate in macchina per raggiungere clienti distanti e farsi firmare stampe approssimative. Erano i tempi dei creativi templari, con segreti scoperti a forza di unghiate e sudore, segreti che dovevano restare tali: io so perchè ci sono arrivato da solo, tu non saprai mai cosa fonda la mia professionalità.
Ora, forse, tutto questo non ha più un gran senso.
Da una parte ci sono tecnologie enormi e alla portata di chiunque; ci sono informazioni reperibili in pochi secondi su qualunque argomento; ci sono tutorial e idee a pochi clic di distanza; ci sono archivi di foto, archivi di font, archivi di progetti, archivi di persone, archivi di soluzioni; ci sono creativi che diffondono gratuitamente stimoli e capacità. Dall'altra parte, c'è un mondo del lavoro sempre più difficile, ci sono clienti noiosi e seduti su se stessi, ci sono aziende sempre meno desiderose di assumere e giovani menti illuminate sempre più ansiose di essere, come si dice, imprenditrici di se stesse.
E allora, dico io: dov'è il quid che distingue un supergrafico da un mortale grafico?
Sono le proprie competenze tecniche? O sono le idee? O il modo di realizzarle? O la velocità? O le possibilità di applicazione? O quanto si riesce a venderle?
lunedì 31 marzo 2008
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