Eravamo rimasti al tentativo di spiegazione di Arnaldo Tranti, designer ideatore del logo "incriminato". Luciano Santin, giornalista e montanaro, commenta così la lettera di Tranti: "La colpa è nostra, ci spiega Tranti, che poi ribadisce: «Se la giuria non avesse avuto i miei stessi occhi, non sarei qui a scrivervi». Non siamo aperti, non siamo, soprattutto, all’altezza della sfida, ci bastano la banalità delle Odle, del Brenta, del Campanile di Val Montanaia, le ruffianerie degli alpeggi fioriti. Forse però possiamo rivendicarla, questa visione ingenua e infantile, e dire che il re è nudo, o meglio camuffato e oscenamente imbruttito nella riduzione del logo. O dire che semplicemente che di questo non c’era bisogno, che il nome Dolomiti è famoso nel mondo e che certe immagini, universali nella loro bellezza, sono riconoscibilissime. [...]
Marcel Duchamp si guadagnò fama immortale applicando due baffoni al labbro superiore della Gioconda. Ma sarebbe stato il primo a giudicare la sua provocazione qualcosa di molto inadatto a celebrare nel mondo l’opera del maestro di Vinci."
Ma non c'è niente da fare: vuoi per la pressione mediatica, vuoi perché 30.000 euro non sono certo bruscolini, la Fondazione Dolomiti convince Arnaldo Tranti a rimettere le mani al logo. I primi giorni dello scorso Marzo, viene reso pubblico: il logo è ritoccato appena, ma non snaturato nel suo effetto un po' Manhattan, un po' Mad Max. «Le modifiche risolvono un problema di visualizzazione rispetto alla percezione sui formati medio e grande – spiega il designer Tranti – Nella versione ridotta le cime risultavano ben evidenti, ma si perdevano nell’ingrandimento, ricordando quasi dei grattacieli. Questo effetto di ambiguità, che era comunque un elemento voluto, è stato eliminato attraverso tre interventi di ritocco: l’aggiunta di linee oblique, il ritmo delle linee più compatto e diversificato e la creazione di ombre tra le cime, disegnando così una catena montuosa».
Ecco il logo modificato:
Tutti d'accordo? Mica tanto, perché i commenti continuano a piovere: «Prima faceva schifo, ora è soltanto brutto», «Sembra il logo dei Costruttori Edili» fino ad arrivare all'improbabile: «Riprendetevi i soldi, rifate il concorso e fate votare la gente». Mountain Wilderness, associazione ambientalista delle Dolomiti, fa la sua proposta: «Le Dolomiti stilizzate nel logo della Fondazione sono la brutta icona dei grattacieli di New York, che nulla hanno a che vedere con il nostro patrimonio». E propone di usare l'orso Dino, simbolo percepito delle Dolomiti, nel nuovo logo della Fondazione.
La mia opinione in merito è questa. I 30.000 euro erano messi lì per attirare tanti designer ingolositi dal premio e, di conseguenza, avere a che fare con moltissime proposte tra cui scegliere (niente di nuovo per chi mi segue da un po' e ha letto "Masse creative"): ma visto il logo vincitore, temo che la giuria non abbia approfittato di questa occasione. Comprendo il concept di Tranti: le Dolomiti non sono solo natura ma anche uomo, lo stesso uomo che ora le protegge come patrimonio Unesco. Può essere corretto. Tuttavia, il valore delle Dolomiti come sistema uomo-natura è marginale: non mi sembra, insomma, così forte da giustificare un logo che ha più a che fare con l'infuocata skyline di una città che con la poetica pace delle montagne.
Di chi è la colpa, se di colpa si vuol parlare? Non è del designer: di creativi che propongono idee discutibili è pieno il mondo, intendiamoci. La responsabilità è di chi l'ha giudicato il migliore su 400 proposte; di quegli uomini di marketing, come dice Toscani, buoni solo a gonfiarsi il petto incravattato alle riunioni e snocciolare gelidi nozionismi anglofoni di economia, travestendoli da comunicazione, arte, estetica.
Com'è finita? All'italiana, ovviamente. La Fondazione Dolomiti ha oggi un logo fatto male, non rappresentativo e che ha scatenato un mare di polemiche ovunque, e l'ha pagato più dell'intero fatturato del mio primo anno da libero professionista.
martedì 7 giugno 2011
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11 commenti:
articolo interessante, complimenti... come sempre del resto... Un blog davvero ben fatto, complimenti!
mi sono permesso di linkarlo nella mia pagina facebook, spero non ti dispiaccia
ciao
Angelo
Tutt'altro Angelo! Grazie mille.
Molto interessante, purtroppo le giurie sono pessime e immagino bene formate da chi... Ma spesso anche nel lavoro quotidiano il giudizio sui nostri lavori è affidato al "mi piace, ma cambia colore" delle segretarie...
Complimenti comunque al vincitore, ha avuto una gran botta di culo :)
Ma poi scusa, hai visto il secondo classificato?
http://corrierealpi.gelocal.it/multimedia/2010/11/05/fotogalleria/dolomiti-unesco-scelto-il-logo-della-fondazione-26865885/2
ma è uno scherzo?
Pazzesco. Non voglio credere che su 400 proposte inviate, queste tre siano DAVVERO le tre migliori.
Non sono neanche troppo stupito.
Dopo il logo Made in Italy, quello di Roma (ma anche quello delle olimpiadi 2012), è ormai chiaro che le giurie sono composte di cialtroni che mi piacerebbe percuotere con una bottiglia di plastica (ma piena) dalle 9.00 alle 21.00, con una breve sosta per un panino.
Sono ridicoli e infangano questo mestiere, come se già non ce venisse gettato addosso abbastanza.
30.000 euro (di denaro pubblico) regalati, svenduti, gettati.
Ma chi hanno chiamato a fare i loghi, i ragazzini delle medie?
Bah bah bah...
Siamo di fronte all'ennesimo esempio di come in Italia i concorsi si risolvano sempre in una fuffa colossale. Concorsi offline, prima, e concorsi onine, ora.
Ribattezzati crowdsourcing, ma la solfa è sempre quella. Se producono brutti progetti quando il premio non è commisurato all'impegno richiesto (99% dei casi), non va molto meglio quando il premio è - se non altro - di non modica entità.
Ma tant'è: il crowdsourcing c'è e dobbiamo tenercelo.
Oddio, non che l'affidamento diretto abbia prodotto risultati migliori... Vedasi il "cetriolone" - e relativo sito italia.it - così tanto giustamente insultato da destra e da sinistra.
Diciamo che qui in Italia manca un po' di cultura sulla progettualità in ambito comunicazione...
Il che è assurdo, se pensi a quanto abbiamo dato, come Italia, al mondo del design, dello stile, della comunicazione: ed è vero, solo che parliamo di 30 anni fa.
Verissimo. Non solo è assurdo, ma è - oserei dire - decisamente deprimente.
Ci vorrebbe una duplice azione da parte: da un lato proporre solo progetti di qualità e dall'altro spiegare la qualità di questi progetti.
Dovremo rinunciare a un po' di soldi oppure ad alcuni clienti? Amen. Un po' di lungimiranza non farebbe male: pensiamo al domani e al fatto che solo così si può cambiare lo stato delle cose. Non guardiamo sempre e solo a 1 cm dal nostro naso e al nostro tornaconto personale.
E - a mio parere - questa corsa frenetica ai concorsi mascherati da crowdsourcing (la cui definizione in realtà a casa mia dovrebbe significare ben altro) non fa che aggravare la situazione: sotto la maschera di una accesso iper-democratico all'idea creativa si cela un abbassamento della qualità e uno svilimento della progettualità che non ha pari...
Un esempio di vero crowdsourcing cioè di partecipazione congiunta per costruire/creare insieme qualcosa: http://stjornlagarad.is/english/
L'Islanda sta riscrivendo così nientemeno che la sua Costituzione.
Sono pochi gli abitanti, è vero, non sarebbe percorribile altrove questa idea, è vero, ma questo è il concetto di crowdsourcing che mi piace: contributo di tutti (o di molti) per una meta comune e non tutti a sgomitare in gara per la vittoria finale...
Chapeau!
Credo che questa mania del crowdsourcing debba avere fine.
Per un obiettivo così alto andava indetto un concorso ad inviti, riservato ai grandi designer e grafici italiani e stranieri.
Pagare 30.000 euro un logo simile quando magari un grande professionista avrebbe scelto di "donare" la sua opera al mondo trovo che sia una follia, senza nascondere che questi concorsi premiano spesso, per una malintesa partigianeria (per non insinuare di peggio), persone vicine all'ambiente del contesto.
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