venerdì 30 luglio 2010

In vino veritas (parte 1)

In Italia, si sa, sappiamo ben parlare di vino; e lo produciamo con altissimi risultati da secoli e secoli, contendendoci il mercato con i cugini d'Oltralpe e i neonati produttori (California, Australia, Cile e Sudafrica su tutti). Le cantine sul territorio italiano si sprecano; e i nomi di alcuni vini sono diventati veri e propri brand internazionali (penso al Brunello di Montalcino o all'Amarone della Valpolicella, per fare due nomi - per non parlare poi di frizzanti e spumanti), garantendo un'esportazione all'estero che ha subìto pochissimi colpi, persino durante la crisi (il 47% degli intervista da WineNews all'ultimo Vinitaly ha dichiarato di aver speso per il vino nel 2010 lo stesso budget degli anni precedenti; il 19%, addirittura, di più).

La produzione del vino, tuttavia, non coinvolge solo vignaioli, enologi e commerciali; da tempo, infatti, il packaging del vino (etichetta, retroetichetta, capsula, pendaglio, bottiglia, confezione) incide enormemente sul fattore di vendita; e un'etichetta ben fatta può anche garantire una buona percentuale di successo del prodotto. Come dire che l'abito, in questo caso, fa il monaco – almeno un po', ecco.

Personalmente, lavoro da diversi anni nel settore enografico. Se c'è una cosa che ho imparato quando con l'arroganza tipica del creativo mi sono avvicinato al mondo delle etichette (il mondo del vino, da buon veronese, l'ho invece esplorato in lungo e in largo già dall'adolescenza), è che non è una cazzata. Al di là degli aspetti normativi (che impongono determinate altezze minime dei caratteri, diciture specifiche e gerarchie degli elementi), riuscire a cogliere con gusto la profondità del prodotto, dell'azienda, della tradizione enologica del territorio, per poi racchiuderla in pochi centimetri quadrati di carta adesiva non è certo facile. Da tempo vorrei scrivere un post in proposito, ma ogni volta che inizio mi vengono in mente tonnellate di cose da dire, e mi perdo: stavolta però ci provo davvero, col rischio di non essere completo.
Gli aspetti da considerare in fase di briefing possono essere innumerevoli:
- il tipo di vino: i tempi son cambiati, e non per forza di cose un vino DOC è necessariamente migliore di un IGT. Tuttavia, nella percezione comune, la differenza si sente. È anche vero che spesso DOC e DOCG vengono venduti ad un prezzo superiore (anche perchè la produzione, la lavorazione e l'imbottigliamento sono sottoposti a vincoli sanitari, legali e fiscali ben specifici), e meritano pertanto un vestito adeguato. Allo stesso modo, frizzanti e spumanti seguono alcune tipologie grafiche ben scandite nella storia. Vini rossi, importanti, di corpo, sono spesso accoppiati ai colori più intensi dell'uva e del vino stesso (nero, rosso, vinaccia, amaranto, ocra, avorio, oro), mentre i bianchi leggeri e mossi scelgono altre cromie (bianco, panna, verde, azzurro, argento). I passiti e i vini da meditazione, ancora, insistono spesso sul colore dorato tipico del vino, scegliendo nobilitazioni spesso preziose;

- l'azienda produttrice: la storia di chi il vino lo fa è ancora importante. Non tanto in termini di brand (tolti forse i "grossi" nomi dell'enologia), quanto di tradizione e storia. Chi fa vino da un secolo, recuperando magari antichi vitigni autoctoni (è il caso dei produttori di Enantio in Valdadige e Vallagarina, tanto per fare un nome delle mie parti), chiede spesso etichette classiche, su carte goffrate, con nobilitazioni in lamina; chi cavalca la tradizione si appoggia ad alcuni archetipi enografici (ad esempio, lo stile "chateau" delle etichette francesi: maiuscoletti graziati o corsivi inglesi, disegno a china del paesaggio, fondo avorio, cornice leggera); le aziende più giovani o più improntate ai mercati esteri sono invece disposte a forme azzardate, serigrafie su pvc trasparente, rilievi e lamine, font personalizzati, carte nuove e persino lavorazioni direttamente sul vetro della bottiglia. Se poi il vino entra a far parte di una linea di prodotti preesistente, deve necessariamente tener conto dell'eredità dei vini precedenti, differenziandosi ma senza stravolgerne il senso;

- il tipo di bottiglia: bordolese, bordolese alta, champagnotta, royal e poi da 750 cl, da litro, Magnum, Jeroboam. La forma e la dimensione della bottiglia incidono necessariamente sulla forma e la dimensione dell'etichetta da applicare;

- il canale di vendita e i relativi target, con tre fondamentali tipologie: il cliente diretto che compra in cantina, il ristoratore, la grande distribuzione. Se per i primi due è lecito osare particolari lavorazioni che incidono necessariamente sul prezzo, la GDO richiede invece una profonda attenzione ai costi: sia per le quantità richieste (che, se va bene, sono sempre molto elevate) che per il prezzo imposto dal mercato e dall'acquirente medio che compra vino al supermercato. Di conseguenza, un'etichetta non può far lievitare troppo il prezzo della bottiglia.

Ho accennato poc'anzi agli obblighi normativi. È il capitolo più duro da mandar giù anche perchè, come spesso accade in Italia, è sempre possibile interpretare, distorcere e travisare le leggi che interessano il mondo del vino. A grandi linee, contengono vincoli che regolano:
- l'altezza minima delle indicazioni di grado, paese di produzione e capacità;
- il rapporto nelle grandezze dei caratteri tra il nome di fantasia del vino (ad esempio: "Valle del Re"), l'indicazione del disciplinare (DOCG, DOC o IGT) e il tipo di vino (Garda Merlot, Nero d'Avola, Dolcetto d'Alba);
- la presenza delle diciture relative a produttore e imbottigliatore (se diversi, vanno riportati entrambi i nomi delle aziende o relativi codici ICQRF);
- la presenza dell'indicazione "Contiene Solfiti", opportunamente tradotta nelle lingue necessarie;
- l'indicazione di numero di lotto univoco e annata di produzione del vino;
- le opportune indicazioni richieste dai mercati esteri, in caso di esportazione (ad esempio, per gli USA, il "Government Warning" che mette in guardia autisti e donne gravide sui rischi dell'assunzione di alcol);
- la distribuzione sul medesimo campo visivo di tutte queste informazioni (normalmente, devono apparire tutte almeno su uno dei due campi: l'etichetta o, come accade più spesso, la retroetichetta).

Le immagini arrivano da qui.

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