giovedì 2 ottobre 2008

Ricominciamo

Leggo il commento di Marini ad un articolo di Marco Ferri apparso su Megachip, e vedo le stesse preoccupazioni espresse da Draft e in altri luoghi della rete oltre che, naturalmente, nella vita vera.
La domanda sembra essere: le grandi agenzie sono sufficientemente elastiche e pronte per accogliere un cambiamento (che è già in atto) dell'advertising? Un cambiamento radicale, che vede spostarsi il focus dell'attenzione del consumatore verso il web e, di conseguenza, verso il digital advertising? Per essere pronti non basta, come segnala Marini, licenziare gli anziani e assumere una manica di ventenni smanettoni di Internet.

La congiuntura economica sfavorevole, di fatto, sta acutizzando i sintomi della crisi: meno soldi, meno consumi, meno investimenti in pubblicità. E come un gatto che si morde la coda, le grandi agenzie non possono più permettersi di proporre campagne da 50.000 euro in un mondo dove, attraverso il web, si arriva a professionisti in grado di chiederti la metà o un quarto del budget. Come giustificare al cliente, spesso noncurante della qualità del prodotto finale, una spesa di due o quattro volte superiore a quella di un concorrente? È poi vero che il ventenne fresco di scuola grafica scovato su Facebook offre un prodotto diverso da quello della grande agenzia milanese?

Specularmente, lo stesso problema si riscontra in ambito stampa, in spazi storicamente al riparo dall'overload di presenze che offre il web. Sono decine le tipografie che, forti di un advertising massiccio, ottengono il file via ftp direttamente dal loro sito web, stampano a distanza con prezzi di assoluta competitività e consegnano al destinatario, ovunque egli sia.
Ma mentre la stampa su carta ha un suo valore assoluto e misurabile in termini di risultato (qualità della carta, qualità degli inchiostri, errori di rippaggio, fedeltà al file fornito, rispetto delle indicazioni colore), e permette quindi al cliente di discriminare le offerte in base ad una certa analisi di qualità, la stessa cosa non può essere applicata all'advertising, i cui tempi di risposta sono estremamente più lunghi, e i quozienti di efficacia più eterei.

La domanda vera, quindi, diventa: siamo consapevoli della mercificazione della pubblicità, e persino della stessa creatività? Tutto ha un prezzo: siamo dopotutto noi stessi ad insegnarlo ai clienti. Ma a forza di calcare la mano, il nostro stesso inspiegabile prurito per la novità è diventato un prodotto alla pari di quelli che aiutiamo a vendere.

Draft implora un'alzata in piedi di grafici e stampatori; Marini propone di cavalcare questa tendenza, consapevoli che le agenzie stanno perdendo il loro ruolo centrale e le aziende cercano sempre più freelance esperti; Marco Ferri chiede alle agenzie di ricominciare daccapo, evolvendosi nella struttura e negli obiettivi. Quanto a me, insisto con la mia ingenuità soggettivista e quasi nietzschiana: chi eccelle, sopravvive. Ai clienti l'ardua sentenza.

1 commento:

wonderchiari ha detto...

...a lavurare!

=)

C.