domenica 10 ottobre 2010

Crowdsourcing (2): la voce di chi ci crede davvero.

Continuiamo la nostra indagine sul crowdsourcing. Sto recuperando molto materiale (quello che vedete pubblicato qui e molto, molto di più) e conto di pubblicare un documento riassuntivo entro la fine del mese prossimo: restate in contatto, quindi.

Di crowdsourcing si è parlato anche alla recente Social Media Week di Milano. Su Wired è apparso (settembre 2010) un illuminante articolo con alcune domande rivolte ad alcuni tra i principali soggetti in campo, di cui riporto gli estratti più interessanti.

Quali sono i settori aziendali dove funziona meglio il crowdsourcing?
Maurizio Spagnuolo, Media and Digital Marketing Director della Fiat: "Forse l'area più importante e meno citata è il marketing research, il confronto con il cliente per capire come va e cosa cerca. Ecco, qui il crowdsourcing ti permette di snellire tutti i tempi e trovare subito le risposte migliori, perché la gente si autoseleziona in base all'interesse per il dato argomento - il che è decisamente più pratico rispetto a fare infinite ricerche su base ampia."

L'utente guadagna qualcosa da questo processo?
Ancora Spagnuolo: "Sì, certamente. Ma ci sono anche altre forme di remunerazione, che hanno poco a che fare con il valore economico e molto più con l'idea di svolgere un lavoro collettivo. Il piacere di creare quel che si vuole e non quel che si deve."

Le agenzie avranno ancora senso di esistere?
Non ha dubbi Luca Messaggi, Managing Director Europe di Zooppa: "Sì, le agenzie andranno avanti: banalmente perché hanno una funzione diversa. Il crowdsourcing dovrebbe essere la reinterpretazione di un brief, non il ricorrere a gente che si fa pagare meno per produrre uno storyboard già pensato. Una strategia la fai in agenzia: poi si può aprire alla gente, e produrre o anche solo testare tale strategia."

Il crowdsourcing è migliore quando non è stimolato? E come funziona la selezione delle idee proposte?
Risponde Pier Ludovico Bancale, CEO di BootB: "Se il contributo è spontaneo, sarà senz'altro più passionale, ma questo non significa che non debba essere sollecitato. Tutt'altro. Per quanto concerne la selezione, in outsourcing si va a imbuto: il cliente chiede a un'agenzia di produrre una decina di proposte, ne vengono fuori tre, si fanno i board, e il cliente decide. Con il crowdsourcing c'è sempre l'imbuto, ma le proposte sono molte di più: anche centinaia, che si contaminano a vicenda."

Ma le aziende sanno davvero sfruttare il potenziale del crowdsourcing?
Bruno Pellegrini, CEO di The BlogTV, fa il punto della situazione: "In questo momento siamo nel mezzo di un cambiamento radicale del business di tutte le imprese. L'uso di risorse open porta inevitabilmente a cambiare ogni modello organizzativo interno. A volte le aziende fanno resistenze, ma noi cerchiamo di convincere che si può seguire e creare un progetto per intero con questo modello, e farlo davvero bene. Insomma, stiamo passando dal "parlare di crowdsourcing perché fa fico" al "usiamolo davvero come una risorsa forte". A mio avviso, il modello organizzativo d'impresa basato su questa forma sarà dappertutto - dall'università alle aziende. Il vecchio sistema rigido e chiuso crollerà."
Lo conferma anche Alessandro Cappellotto, community manager di Zooppa di cui ho pubblicato un intervento nello scorso post, in questa videointervista di YouMark (dicembre 2009). Zooppa funziona, a suo dire, perché è una comunità "non necessariamente di creativi, ma di persone che amano la creatività. In sostanza, le persone che poi usufruiscono i contenuti, su Zooppa li possono creare per le marche".
Gli si chiede: il vecchio modello delle agenzie può sopravvivere? "Il futuro va in tutti i sensi. Le agenzie avranno sempre un ruolo, ma dovranno trasformarsi. Noi non ci vogliamo sostituire alle agenzie pubblicitarie: siamo una nuova forma per interpretare il coinvolgimento delle persone nel rapporto con le marche. Possiamo e dobbiamo lavorare con le agenzie, senza sostituirci ad esse".

Chi lavora nel settore, insomma, ne sembra entusiasta. Una base enorme di utenti direttamente interessati, che si autoselezionano nel partecipare o non partecipare ad un determinato brief; sapendo di ricevere in cambio, oltre al vil denaro, anche il valore aggiunto del partecipare a qualcosa di bello, fico e collettivo, dove esprimersi al di là della vecchia dicotomia cliente-fornitore. E il ruolo delle agenzie non sembra uscirne danneggiato, ma rinforzato nel suo spirito più essenziale: la strategia. In agenzia si studia il piano, la cui realizzazione viene poi affidata alla community creativa con i relativi vantaggi: la qualità e quantità dei contenuti, la disponibilità di un focus-group selezionato con cui mettersi in relazione e la viralità intrinseca delle proposte. E il cambiamento sembra "radicale" e pronto ad espandersi a macchia d'olio a qualunque livello.

Ma ancora non riesco a capire: io amo lo sharing. Questo blog ne è la prova: adoro che la cultura e l'informazione siano create e diffuse dal basso. Mi piacciono le risorse online messe a disposizione dai blogger. Mi piacciono le cose (di qualunque tipo) user-generated, che rimbalzano di social network in social network superando barriere, preconcetti e abitudini. Mi piacciono i meme, i video virali, le parodie di Star Wars fatte dai ragazzini. Mi piacciono i netizen, i blog di informazione e controinformazione, i software opensource e le licenze creative-commons. E allora: cos'è, in questa faccenda del crowdsourcing, che ancora non mi convince del tutto?

3 commenti:

ilpiac ha detto...

Quelle che non mi convincono, ma parlo per me, sono due cose:
1) l'uso che se ne sta facendo, che è l'esatto contrario di quanto affermato nelle interviste: le aziende vi stanno ricorrendo per risparmiare sul costo di agenzia. Basta leggere i brief che ci sono in giro sulle diverse piattaforme per accorgersene. Si chiede al crowdsourcing ciò che prima si poteva chiedere solo all'agenzia. Punto.
2) La vedo veramente dura ipotizzare una strategia by agenzia e poi una implementazone sui singoli step by crowdsourcing. La vedo dura perchè il numero elevato delle proposte è sì un plus - forse - rispetto alle 3 di agenzia, ma diventa un minus nel momento in cui la qualità è quella che è e il cliente deve vagliare centinaia, se non migliaia di idee/progetti per sceglierne uno. Mi sembra che il tempo e la cura richiesti per un esame fatto come si deve possano essere a volte decisamente elevati. Forse troppo.

Unknown ha detto...

Parere personale: una grande presa in giro.

Il cliente inizialmente ci risparmia, ha una marea di proposte, solo che poi inizi a vedere lavori fatti da gente comune ad una qualità oscena, la metà dei lavori sono fuori tema, copiati tra loro, una perdita di tempo. Come ho visto zu zoppa, partecipi ad un concorso, pubblichi le tue proposte, vai a vedere i lavori pubblicati dopo e vedi che sono scopiazzati dalla tua proposta...
Chiuso il concorso ti trovi a vagliare una quantità enorme di proposte, il 90 percento è robaccia e rischi di farti scappare le proposte interessanti.
Facendo così si banalizza tutto il lavoro e la qualità non è assolutamente di buon livello.

Unknown ha detto...

solo per riportare alcuni esempi che ho visto oggi...

Logo Contest per startup: Pholla.com (200 € x un logo) http://www.iamasource.com/it/FindContests/ContestDetail.aspx?ContestId=349fa219-ec2b-412a-9b72-9e0e00b359d0

Layout template web Jelmini.it (400 € al vincitore) http://www.iamasource.com/it/FindContests/ContestDetail.aspx?ContestId=5e879fee-9663-494b-a3a8-9e0a00a8c759

Logo Contest per startup: Pholla.com (300 € per un logo) http://www.iamasource.com/it/FindContests/ContestDetail.aspx?ContestId=4459af21-7512-4832-9909-9dfd00e1940d

A fianco designers che si scannano a suon di proposte, la qualità passa in secondo piano. Facendo così viene banalizzato il nostro lavoro.