Da Macworld.it riporto alcuni estratti da una lunga chiacchierata sul design e la creatività di Lucio Bragagnolo con Fabio Verdelli, direttore del CRIED (Centro Ricerche dell'Istituto Europeo di Design, di Milano). L'intervista completa la trovate a questo link.
Il ruolo del designer.
Il nuovo ruolo del designer non è più progettare soluzioni e servizi, bensì creare ambienti dove è possibile progettare, dove si possa ragionare assieme sullo sviluppo di un progetto. Il nuovo ruolo del designer è essere creatore di aree dove condividere le conoscenze.
Creatività e nuove tecnologie.
Quando c’è un grande talento e anche la consapevolezza del talento stesso, lo strumento tecnologico torna a essere uno strumento e ha certamente influenza, ma consapevole e controllata. Una delle caratteristiche principali del grande talento è essere molto trasversale, non affezionarsi al singolo strumento ma sapere usare quello che serve quando serve.
Creatività e Internet.
Internet ha aperto le porte alla possibilità di fare ricerca velocemente, di raccogliere dati: è ovvio che la sua efficacia sia a discrezione della capacità di chi usa questo strumento. È difficile, come insegnanti, fare uscire i ragazzi da questa logica: per loro se è su Google c’è, altrimenti non c’è. Non è un problema specifico delle nuove generazioni, ma un problema generale, legato alla conoscenza. Ci dobbiamo dare ancora tempo per abituarci a questo tipo di strumenti.
Purtroppo e per fortuna il nostro mestiere di designer è legato a un essere solitario della creatività. Anche se lavoriamo tanto in gruppo, la primissima fase della creatività nasce a livello del singolo. La creatività non si trova su Internet, altrimenti noi saremmo inutili. Piuttosto, vedo interessante l’evoluzione sociale del mezzo. A parte il semplice parlarsi da lontano in comunità virtuali, è promettente la prospettiva di gruppi di lavoro che utilizzano questo strumento per risolvere problemi pratici e contingenti.
Progetto aperto.
Credo nella coautorialità, nei progetti di design che continuano nel tempo. Il designer però non è un demiurgo. Quando il prodotto arriva sul mercato viene risemantizzato, ridefinito nel proprio significato dalle persone che lo usano. Si crea veramente una forma di progetto aperto, che nasce in posti come il CRIED, ma poi va avanti per conto proprio. Come designer siamo degli iniziatori, se l’oggetto è veramente ricco continuerà a fornire nuovi spunti anche dopo che lo abbiamo creato.
Apple precursore nel design.
In Apple c'è una attenzione al dettaglio che non si riscontra in nessun’altra azienda. Progettare vuol dire scegliere: se dentro un oggetto infilo tutto quello che è possibile infilare, non è vero progetto. Invece gli oggetti Apple sono coerentissimi, non per le proporzioni o per le dimensioni, ma perché sono pensati. Apple, prima degli altri, ha capito che era giunto il momento di lavorare non solo sulla tecnologia bruta ma pensare in modo progettuale, forse lo ha capito persino troppo presto.
Vi faccio un esempio: i cellulari, all’arrivo dei primissimi modelli, comunicavano un unico messaggio: funziona! Con la maturazione del mercato si arriva al narrativo, ai modelli che devono “dire” qualcosa in più dal momento che il funzionamento è scontato. Mentre tutti facevano lo scatolone velocissimo e anonimo, che costasse poco e si spedisse in fretta, Apple è stata capace di lavorare sul narrativo nel contesto di una merceologia molto immatura: che coraggio! Io avrei detto che fosse troppo presto e che fosse ancora necessario raccontare che il computer si accende e si spegne (funziona!). Invece in Apple sono stati precursori e hanno persino costretto il mercato a considerare il messaggio narrativo: "il computer che funziona e basta non è più sufficiente".
lunedì 23 giugno 2008
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